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I più famosi Alpinisti Italiani

Gli alpinisti italiani più famosi di questa disciplina hanno contribuito a rendere grande la passione per la montagna. Fare alpinismo vuol dire affrontare ogni genere di difficoltà nella scalata di una montagna o di una parete, sfidando ogni volta i propri limiti.

Walter Bonatti

La disciplina prende il nome dalle stesse Alpi, per cui gli italiani si sono sempre contraddistinti nella passione per le vette da scalare. Tra gli alpinisti italiani più importanti c’è il bergamasco Walter Bonatti. Non solo alpinista, ma esploratore, giornalista, scrittore e fotoreporter. Era stato soprannominato ‘il re delle Alpi’, a testimonianza della sua grandezza a livello mondiale. Non solo ha scritto diversi libri, ma nei suoi reportage per riviste come ‘Epoca’ è arrivato negli angoli più impraticabili del mondo. Nel ’54 è il più giovane a partecipare alla scalata del K2, ma avrà alcuni dissidi con altri alpinisti.

Achille Compagnoni

Tra questi c’è Achille Compagnoni, un alpinista dal curriculum di tutto rispetto. Questo gli guadagnò la convocazione da parte di Ardito Desio nel ’54, per far parte della spedizione italiana sul K2. Non solo divenne suo braccio destro, ma lo designò anche per tentare l’assalto alla vetta più alta. Impresa che portò a termine insieme a Lino Lacedelli, ma che scatenò il famoso ‘Caso K2’ con Bonatti. Solo 50 anni dopo il CAI riconosciuto la veridicità della versione di Bonatti.

Lino Lacedelli

Lino Lacedelli è stato protagonista di molte imprese alpinistiche, con arrampicate di notevole difficoltà. Nel ’54 lui e Compagnoni sono i primi uomini ad arrivare in cima al K2, la seconda vetta più alta del pianeta. Questo gli fa conquistare una medaglia d’oro al valore civile, mentre 50 anni dopo gli vale la nomina a cavaliere di Gran Croce. La spedizione che gli conferisce onori e popolarità però gli è costata l’amputazione di un pollice a causa dei congelamenti subiti alle dita.

Carlo Mauri

Carlo Mauri è stato un alpinista ma anche esploratore. Dopo le prima ascensioni sull’arco alpino con Walter Bonatti e poi in solitaria sul Monte Bianco, ha effettuato moltissime spedizioni. Prima conquista la vetta del Monte Sarmiento nella Terra del Fuoco, poi scala il Gasherbrum IV in Pakistan con Bonatti. Successivamente le sue scalate spaziano fra Congo, Argentina, Groenlandia, Tanzania  e altri luoghi.

Luis Trenker

Alois Frank Trenker (noto come Luis) è stato un attore, regista, scrittore, ma anche alpinista e bobbista italiano. Più precisamente un altoatesino di madrelingua ladina. Fin da giovanissimo cominciò a lavorare come guida alpina e maestro di sci. Successivamente la sua vita si intrecciò anche con gli avvenimenti della prima guerra mondiale.  I primi contatti con il cinema vennero in seguito, quando grazie alle proprie doti di alpinista ottenne il ruolo di protagonista in pellicole a tema. La carriera di attore si è poi incrociata con quella di regista e autore, dove i temi della montagna e della sua gente tornano sempre molto vivi. La sua carriera ha incontrato anche l’attività sportiva con il bob. Ha disputato i giochi olimpici invernali di Chamonix-Mont-Blanc del 1924, classificandosi al sesto posto nella gara di bob a quattro.

Il Monte Everest: tutto quello che c’è da sapere

Il monte Everest non solo rappresenta la vetta più alta dell’Asia, ma dell’intero pianeta. Con i suoi 8.848 metri sul livello del mare, si erge fra Cina e Nepal, incorniciato dalle altre vette della catena dell’Himalaya.

Il fascino del monte Everest

Questa montagna da sempre ha affascinato migliaia di persone che si sono cimentate nell’impresa di scalarla fino alla vetta. Purtroppo non sempre le spedizioni sono andate a buon fine, con la morte di diversi alpinisti, deceduti a causa di valanghe, assiderazione e cadute. Di certo il monte Everest è uno dei luoghi più suggestivi della Terra e ci sono tante curiosità che lo riguardano.

La vetta più alta

Il primo nome di questa montagna è stato Cima XV, ma nel 1865 è stato ribattezzato con il nome attuale. Questo per rendere omaggio al britannico Sir George Everest, responsabile dei geografi inglesi in India. Sono stati proprio loro nel 1856 a scoprire che si trattava della vetta più alta del pianeta. Ogni anno la cima guadagna ulteriori 4 mm di altezza, che diventano 40 cm in un secolo di vita. In realtà si tratta della cima più elevata sul livello del mare, perché quella più notevole dalla base alla vetta è invece il Mauna Kea alle Hawaii.

Geologia e temperature

Da un punto di vista strettamente geologico, si tratta di una vetta giovane: ha soltanto circa 60 milioni di anni! La catena si è formata dopo la collisione della placca terrestre indiana con quella eurasiatica, che ancora oggi sono in movimento. Lo dimostra anche il fatto che l’attività sismica è molto presente.

Il clima sul monte Everest è ovviamente molto rigido, con temperature che hanno toccato anche i -60° con il vento. Di solito il mese più rigido è febbraio, mentre agosto è il momento più caldo, con una temperatura attorno ai -20°. Quando si sale oltre i 5.300 metri, ci sono sempre neve e ghiaccio: si tratta del limite delle nevi perenni. Raggiunti gli 8.000 metri di altezza, si arriva alla famosa “zona della morte”, dove non c’è ossigeno per la sopravvivenza umana.

I campi base

Il 1953 è stato l’anno in cui per la prima volta l’uomo ha scalato la cima dell’Everest. Da quel momento circa 7.000 persone hanno replicato l’impresa, molte delle quali hanno ripetuto l’esperienza. Per i turisti sono disponibili due campi base, uno sul versante nepalese e un altro su quello cinese, entrambi oltre i 5.000 metri. Scalare la cima non è un’esperienza alla portata di tutte le tasche. Per compiere l’impresa è necessario spendere 30.000 dollari a persona. Calcolando il periodo di acclimatamento e quello per raggiungere il campo base, la scalata dura circa 10 settimane.

L’impresa di Messner

La prima conquista della vetta dell’Everest risale al 1953, quando il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay raggiunsero la cima. Lo sherpa in precedenza aveva già tentato inutilmente lo sforzo per ben sei volte. Un record speciale spetta anche all’Italia. Nel 1978 l’alpinista italiano Reinhold Messner ha scalato la vetta senza l’aiuto di bombole d’ossigeno. Soltanto due anni dopo, nel 1980, lo stesso Messner ha effettuato la prima scalata in solitaria.

Ghiaccio di Kandersteg e Livigno

KANDERSTEG …e così, dopo una sosta forzata di diciassette mesi ritorno al mio elemento preferito ”il ghiaccio”, in un fantastico luogo che non ha bisogno di presentazioni, basta il nome Kandersteg!! Sabato veniamo accolti da una bella giornata, ma la temperatura è scandalosa -18°: questo però non scoraggia la nostra guida, Alberto nè tanto meno il sottoscritto. Si parte destinazione Arbonium, la cascata è molto bella e discretamente impegnativa, e tutti e tre veniamo deliziati dai continui congelamenti e scongelamenti alle mani ma questo fa parte del gioco e si sopporta il tutto senza darci troppo peso. Tiro dopo tiro, in uno scenario strepitoso arriviamo in cima alla cascata, che ci riserva nel finale un tratto assai delicato, il famelico tubo sembra volerci inghiottire e Nicolò ci esorta a picozzare molto delicatamente!

Terminate le doppie rientriamo alla locanda, tutti e tre pensiamo già ad una doccia calda fumante e invece ci tocca, anzi mi tocca, farla con l’acqua fredda! Domenica la temperatura è decisamente più normale, Nicolò sale in scioltezza il primo tiro di Baretritt, ma i due clienti a metà danno forfait, il fisico è brasato dalla giornata di sabato. Ci dirigiamo su Grimm, decisamente più tranquilla della precedente ma non per questo meno bella, dove si conclude con mia grande soddisfazione e senza dubbio anche con quella dei miei due compagni di cordata questo bel week-end. LIVIGNO Questo week-end ci siamo diretti in alta Valtellina, nel livignasco dove le cascate abbondano e fortunatamente sono poco battute: speriamo che lo restino ancora per parecchio tempo! Venerdì ci siamo sitemati a casa mia a Santa Caterina e sabato mattina ci siamo diretti a Livigno dove abbiamo salito Waiting a Bebè.

Per arrivare alla base di questa cascata bisogna superare una dura prova: l’attraversamento del lago ghiacciato di Livigno che ha avuto i seguenti effetti: Nicolò a metà lago in predi ad una crisi mistica si è trasformato nel messia delle cascate e gridava ”cammino sulle acque”, io mi sono quasi cagato sotto nel sentire i tonfi sordi del ghiaccio che si assestava sotto i miei piedi, mentre Mario si è chiuso in un silenzio sepolcrale! Salvi e poco sani (di mente!) abbiamo attaccato la prima candeletta e siamo sbucati in un bellissimo anfiteatro ammantato da un’onda d’acqua gelata ma anche stracolma nel mezzo da neve di origine valanghiva, mentre alle nostre spalle il lago era illuminato dal sole, che spettacolo!! Proseguiamo tiro dopo tiro ma solo in cima alla cascata siamo stati riscaldati un po’ dal sole. MA veniamo a domenica: destinazione Shining Ice in Val Viera.

Questa bellissima valle, selvaggia e con colate ghiacciate veramente toste era letteralmente intasata dalle valanghe il che mi ha fatto presagire che l’avvicinamento alla cascata sarebbe stato tutt’altro che rilassante: abbiamo pestato neve affondando quasi fino al sedere praticamente per tutto il tragitto. Ogni tanto volevo dare il cambio a Nicolò ma lui ha resistito dando così prova della sua preparazione fisica : atleta non baracc! Ma anche io non sono stato da meno, gli stavo sempre attaccato al culo! La salita di questa bellissima cascata è discretamente lunga e tecnicamente interessante, per uscire dalla penultima candela abbiamo dovuto fare una sorta di dry tooling perchè il ghiaccio era sottile e cotto dal sole (che strizza!). Riassumendo: bellissima cascata + nuotata nelle neve in una valle stupenda senza anima viva (tranne i camosci) + guida alpina ok = è stato bellissimo, questa è la vera montagna.

Marco

Corso di alpinismo: relazione semiseria

11/8 Puntuali tutti si presentano per vivere insieme questa nuova ed itinerante avventura in quel di Chamonix, al cospetto di sua maestà…le Mont Blanc!! Ci siamo e caricate le 2 auto come muli si parte. Dai primi dialoghi si percepisce in ognuno di noi un modo diversi di vivere la montagna ed insieme formiamo un bel gruppo…almeno così sembra. Con Giulio al volante (e le sue gambe ancora sane) io, Alessandra e la ”guide de haute montagne”(Nicolò) cominciamo il nostro viaggio che vola via liscio e senza intoppi. Silvio, Donatella, Filippo e spider Dani (seconda guide de montagne) ci seguono. All’arrivo Chamonix ci accoglie con una caldazza incredibile, ma che panorama. Mancano ancora Willy e Roby ma sono in arrivo.

Ci sistemiamo in Gite e subito prima lezione. Controllo dei ramponi, delle piccozze e inizio delle manovre di corda sul prato. Prove per legarsi sul ghiacciaio, cordata da due e da tre, otto copiato, bulino, anelli, nodi a palla… insomma comincia così il primo tormentone di questa meravigliosa vacanza… ”velocità nelle manovre ragazzi” ripete Nico e mentre Donatella dimostra subito la sua destrezza legandosi perfettamente in nanosecondi, il sottoscritto sta ancora cercando di districare quella che sarà poi soprannominata l’anaconda!! Prima cena… e secondo fantastico tormentone… lui… ”le budin” (scritto come si pronuncia, chiaro!). Ci viene servito subito dopo una gustosa sbobba a base di carote, per quanto mi riguarda è la cosa più buona che ho mangiato in una settimana. Termina così questa prima giornata di corso… e la notte vedo nodi ovunque!!

12/8 Sveglia, colazione abbondante e trasferimento sulla Mer de Glace con il trenino. Giornata splendida.Ci dividiamo in due gruppi e facciamo lezione sull’uso dei ramponi e della piccozza su ghiaccio in un ambiente affascinante, contornato da cime che brillano al sole. Il gruppo si amalgama sempre di più e ci divertiamo senza faticare troppo. Scendiamo a Chamonix in tardo pomeriggio, doccia. A questo punto Giulio (quello che doveva essere il mio compagno di cordata nella salita finale) si accorge, togliendo gli scarponi, che i suoi polpacci sono circondati da una bolla in stile salsiccia arrotolata… le vesciche il secondo giorno, cerchiamo di aiutarlo con una cura a base di compeed a tappeto, ma il risultato non sarà dei migliori, purtroppo. A guardarlo mi viene da piangere, ma il nostro Giulio è uno stoico e non fa una piega. A cena spero ancora di vedere lui.. le budin… ma nulla, il vuoto!!

13/8 Lait, thee, chocolat?? Comincia così la nostra giornata… con questa fantastica cantilena di primo mattino che subito ci mette di buon umore! Altra bellissima giornata di sole, questa volta andiamo in falesia al Les Gaillands. Facciamo lezioni su roccia, sull’arrampicata con i ramponi e sulla progressione in conserva corta su terreno facile. Mi rendo conto, ascoltando le lezioni delle guide, di quante cose ci siano da apprendere e da conoscere per muoversi in sicurezza. Si sta rivelando un’esperienza importante e carica di significati e il bello deve ancora venire. A cena io e il mio socio decidiamo di portare 2 splendide bottiglie di vino che vengono subito apprezzate dal gruppo e dalle nostre guide, che certo non si fanno troppo pregare… vero Nico??

14/8 Levataccia… ci attende il Tacul, ma oggi nel giorno della nostra prima salita il cielo presenta delle velature già dal primo mattino, brutto segno! Giulio, nonostante le piaghe, calza gli scarponi senza battere ciglio e sale con noi… grande. Il resto del gruppo sta bene a parte che per un po’ di apprensione per quello che ci aspetta. Arrivati all’Aiguille du Midì il cielo è già grigio… velocità, velocità ecco la parola d’ordine… velocità nel gestire la corda e nel sistemarsi, ha ragione la nostra guide, ma la cosa non è proprio immediata. Sistemate le cordate si parte percorrendo una piccola parte della Midì-Plan che presenta già crepacci molto aperti. Senza grossi problemi scendiamo la crestina per cominciare poi la vera salita. Si sente subito lo sbalzo altimetrico improvviso e il fiato corto rallenta la progressione. I più allenati prendono subito il largo, io proseguo con Alessandra che nonostante la fatica non molla, il ragno di Lecco con Silvio e Filippo ci segue a ruota in questo dedalo di crepacci e dopo aver superato diversi saltini piuttosto ripidi arriviamo al punto critico in cui il gruppo si ricompatta. Un seracco verticale di circa 10 metri di altezza attrezzato con una pseudo scala di corda appesa dall’alto in un diedro ghiacciato nel quale in teoria bisognerebbe piantare i ramponi. Facile a dirsi!! Alcuni riescono a salire nonostante la fatica, altri no… giriamo i tacchi dei crampon e rientriamo al Ref. Cosmiques. Nel frattempo le condizioni meteo sono notevolmente peggiorate, le nuvole ormai basse avvolgono la nostra cima. Poco dopo il resto del gruppo che aveva superato il seracco ci raggiunge… nevicava e la visibilità era bassissima, meglio non fare cazzate. Così belli belli ci ritroviamo tutti intorno al tavolo e il pomeriggio scivola via ascoltando i racconti di spider Dani sulla sua esperienza in Patagonia, dove anche lui con la sua calma serafica è riuscito a perdere la pazienza. Grandi ghignate a cena con le nostre ”guides de montagne” … e le buden?? Nenache al Cosmiques? Ma non ci posso credere… carne con le prugne?? Ma che cazzo mangiano sti storditi?? ROBB DE MATT!! Note: non potrò mai dimenticare la faccia di Giulio appeso alla scala e quella di Filippo che mi ha fatto morir dal ridere. Complimenti a Willy e Donatella che nonostante lo sforzo fisico richiesto riescono a superare brillantemente la scala nel vuoto.

15/8 Ferragosto!!… NEVICA… ma dove siamo in una favola?? Dopo una notte appassionata tutti insieme in un camerone da 10, mi alzo verso le 6.00 e mi accorgo che fuori nevica e ha nevicato tutta la notte, le nuvole avvolgono il rifugio e allora? Aspettiamo le decisioni delle guides de montagne che dopo aver atteso un paio d’ore cazzeggiando quà e la decidono saggiamente di rientrare a Chamonix. E la nostra cresta di misto? Nada, nulla, tre giorni di preparazione e poi… purtroppo questa è la montagna, bisogna accettare il suo verdetto! Insomma anche per oggi ghe neint de fa!! Nel pomeriggio torniamo a Les Gaillands, dove comincia il delirio dei paranchi per il recupero da crepaccio… paranco d’aiuto, doppio, triplo… anelli, bulino, otto copiato, barcaiolo e via discorrendo, ricomincia il tormentone! Una cena superba a base di formaggio fuso e un fiume di vino concludono la nostra giornata… ormai ho perso le speranze di rivedere il mio buden ma sono contento il gruppo è caldo e siamo tutti un po’ brilli stasera, gran casino e grandi risate che vengono un po’ placate dall’arrivo di Mario (un’altra guide de montagne)… è lui l’esperienza!! Intasati di formaggio rientriamo in camera e senza commenti ognuno di noi si spegne!

16/8 Giornata di trasferimento. Si riparte per rientrare in Italia, più precisamente in Valsavaranche dove ci attende la salita al rifugio Chabod. Lentamente ci ritroviamo tutti intorno al solito tavolo per una pasta al sugo. Domenica ultimo giorno di corso, Nicolobe e spider Dani hanno previsto per noi la salita alla vetta del Gran PAradiso in autonomia… 4061m. Giulio sale con le scarpe, i suoi polpacci sono sfiniti da una settimana di torture… ma sfogherà la sua incazzatura diventando il trekker più veloce della Valsavara. Inoltre era stato designato come mio compagno di cordata ma niente da fare, va così. Cena e nottata tranquilla, il rifugio è bellissimo.

17/8 Ore 4.00 del mattino… squilla la sveglia del cell., ci siamo comincia la nostra avventura verso il Gran Paradiso. Le cordate sono così composte: io con Silvio, Nicolobe con Alessandra e Filippo, Spider Dani con Donatella, Willy e Roby ci hanno lasciato ieri e sono tornati a casa, Giulio vescica, ci seguirà fino all’attacco del ghiacciaio. Partiamo alle 4.50 e alla luce della frontale risaliamo la morena che ci porterà sul ghiacciaio. In testa Donatella non perde un colpo e dopo circa un’ora siamo all’attacco. Legati e imbragati percorriamo tra enormi buchi tutto il tratto di ghiacciaio che in circa tre ore ci conduce alla schiena d’asino dove finalmente il primo raggio di sole scalda le nostre teste. Tira vento, una sosta per mangiare la nostra amata barretta (vedi capitolo zaino leggero, in realtà mi mangerei anche la carne con le prugne!) e ripartiamo per il tratto, l’ultimo, più impegnativo. Dopo un’ennesima scala, questa volta in ferro, arriviamo alle roccette finali dove finalmente riesco a mettere in pratica le tecniche apprese questa settimana, assicurazione veloce su spuntoni di roccia, mezzo barcaiolo e via dicendo. Dani e Donatella sono i primi a toccare la madonnina posta sulla cima, io e Silvio subito dopo ma con l’ausilio, ahimè, di Daniele che mi aiuta a superare un passaggio per niente farlocco. Il panorama non è granchè, ma sono contento e felice… insomma appagato pienamente per la salita effettuata per nulla banale dallo Chabod. Silvio ha dimostrato tutte le sue grandi doti di camminatore impeccabile e con il suo 47 di piede anche i crepacci più ampi possono essere evitati senza salti. A ruota arriva anche la super cordatona di Nico, Alex e Filippo… tutti in cima! La discesa fila via senza intoppi tra un salto e l’altro, una foto e una bevuta! Al rifugia tutti in festa, foto di rito e ancora tante risate… E Giulio?? Beh, è arrivato all’attacco in pantaloncini, si è fumato un pagliozzo e ha deciso di scendere. chiaramente dopo 7 minuti era già sdraiato a prendere il sole! Termina così la nostra settimana. Pensiero finale… La montagna è una grande passione che avvicina persone diverse e sconosciute, facendole sentire unite e vicine… allontana i pensieri, tempra lo spirito e il corpo… ma soprattutto regala grandi emozioni a colui che è in grado di coglierle. Un grazie sincero a Giulio, Donatella, Alessandra, Filippo, Silvio, Willy e Roby per la loro simpatia e spensieratezza nella speranza un giorno di riuscire ad organizzare qualcosa insieme. Non può mancare un ringraziamento a Nicolò e Daniele, che oltre ad essere veri professionisti, hanno avuto una buona dose di pazienza del rispondere alle inevitabili duemila domande! Un grazie al gestore del Cosmiques per la sua fantastica carne con le prugne… robb de matt!

Silver

Punta Dufour Cresta sud-est

La guida dei Monti d’Italia del CAI-TCI descrive la via che percorre la cresta sud-est con queste parole: ”via molto varia ed interessante, in ambiente magnifico e con vedute eccezionali”. Adesso, a poche ore di distanza dall’arrivo in cima, leggo queste parole contento di averle verificate personalmente. La gita inizia lunedì 29 luglio al solito appuntamento di Rho. Ferie dell’ultimo momento in ufficio (giocando su vari equivoci con il capo), resto della famiglia già in vacanza (trasferendosi da un alberghetto all’altro, aspettando lo scrivente a fine settimana con il materiale per poter andare finalmente a campeggiare), zaino impeccabilmente controllato mediante check-list (non si può certo rischiare di trovarsi senza ramponi quando sei già in rifugio!) Incontro a mezzogiorno la nostra Guida preferita (che fortunatamente, questa volta, non ci ha spaventati  come accaduto in passato con altri clienti) e con Rosita, venuta apposta da Trento per allenarsi all’imminente spedizione sull’Alpamayo peruviano (dopo averla vista sfrecciare sui ghiacciai o mentre scalava mi son chiesto varie volte se ne aveva veramente bisogno…). Arriviamo ad Alagna e mangiamo qualcosa nella pasticceria alla partenza della cabinovia. Anche se non siamo ancora partiti, chissà perchè siamo già affamati e mentre la signora del locale ci coccola con focaccine ed altre delizie, notiamo una curiosa produzione di materiale da arrampicata (moschettoni, discensori, ecc.) fatta di cioccolata; ci chiediamo se, unificando le funzioni di cibo e materiale da scalata, possiamo risparmiare peso nello zaino…ma poi pensiamo che si tratti solo di alimenti e rimandiamo l’acquisto al ritorno. Percorriamo rapidamente i tre salti di impianti fino a Punta Indren ed il breve percorso fino alla Gnifetti. Alle 18.30 siamo i primi in fila per la cena e ci sbrighiamo a mangiare per poterci dedicare al nostro passatempo preferito: il rubamazzetto! L’avvicente gioco a carte ci tiene svegli fino a notte alta. Andiamo infine a dormire e dopo la sveglia (all’una e trenta!) e la rapida colazione, partiamo verso le due. Le ore di marcia al buio, guardando con la luce della frontale solo i propri scarponi e la corda che ti unisce all’amico che precede, trascorrono come sempre: ci si concentra, un passo dopo l’altro, cercando di fare economia di energie e poi, quando il ritmo corretto è avviato si comincia a pensare alle cose più svariate. La lunghezza della salita si avverte quando Rosita ci chiede se abbiamo qualche tema da suggerirle come ulteriore impegno pensatorio per le prossime ore. A me, che in questi giorni sto leggendo le storie di alpinismo di Cassin, viene in mente la fantasiosa idea della ”Creazione dell’Uomo Rupe” destinato a resistere alle tempeste spaventose alle vertigini o al tormento dei bivacchi: ora in realtà, a parte la fatica per la progressione, non c’è alcun duro ostacolo da superare. Al contrario l’aria è tranquilla, non fa freddo e il cielo è sereno. Quando siamo al Colle del Lys è il momento di scegliere se scalare la Punta Dufour lungo la cresta Rey oppure proseguire per la normale dall’Italia. Prendiamo la decisione di continuare lungo quest’ultima ed alle prime luci dell’alba stiamo per scavalcare la Punta Zumstein. Adesso fa più freddo. Ci fermiamo per vestirci prima di ridiscendere seguendo la successiva lunga ed affilata cresta nevosa.: il paesaggio è bellissimo ed aereo, si vede il lago effimero ed alla nostra destra, 2000 metri più in basso Macugnaga, alla fine del gigantesco scivolo della parete est. Qui è veramente richiesta la sicurezza di piede descritta nella guida. Mi viene in mente la teoria che in casi del genere, se uno della cordata scivola da una parte, gli altri si devono buttare dall’altra. Evitiamo di verificare se la teoria funziona. Verso le 7.30 siamo in cima dove rimaniamo a lungo a goderci, al calore del sole, la vista incredibile dei 4000 circostanti. Rapida discesa a valle lungo la quale alcuni piccoli incidenti (piccozzata sulla mano, piccozza smarrita ma poi ritrovata, parabrezza dell’auto rotto…alla vigilia delle vacanze!) tentano di rovinare, ma senza riuscirci, l’entusiasmo per la bellissima gita. Non dimentichiamo di comprare il materiale da arrampicata (di cioccolato) e a metà pomeriggio sono già a casa a Milano a leggere gli email arrivati dall’ufficio durante il giorno. Leggo infine il messaggio della nostra Guida che completa come una ciliegina sulla torta la soddisfazione per il risultato: ”complimenti per la veloce ascensione”.

Alberto Indelicato

Il Ghiaccio di Cogne

Ed eccoci qua per vivere questa entusiasmante avventura in quel di Cogne, il paradiso dei ghiacciatori. Un’avventura che ci porterà a salire alcune di queste meravigliose colate che nei mesi invernali affiorano in tutta la loro bellezza e spettacolarità. Costi quel che costi…siamo tutti a spalmarci su questi ghiaccioli alla ricerca ancora una volta di sensazioni davvero uniche!

Levataccia, zaino pronto e accuratamente controllato e via verso la mitica Vallee dove altri componenti più alcune guide ci attendono al Bar Licone di Cogne. Un saluto, una colazione veloce, e preparate le cordate si parte per andare a scalare. La temperatura si aggira sui -2 e sopra le nostre teste il cielo è già perfettamente azzurro…spettacolo! Con Matteo e Carlo andiamo alla cascata di Lillaz, avvicinamento massacrante…10 minuti! La cascata non presenta particolari difficoltà, ma non per questo è meno bella delle altre. Dopo il secondo tiro giungiamo in un anfiteatro di ghiaccio meraviglioso, rimango veramente stupefatto di tanta bellezza. Il ghiaccio brilla alla luce del primo sole nelle sue forme più stravaganti, scaliamo ancora il 3 e 4 tiro senza problemi…è magnifico. Matteo, la nostra guida, di oggi è bravissimo, mentre sale lo ammiro per la facilità con cui accarezza il ghiaccio senza la minima fatica.

L’appuntamento a fine giornata è sempre al nostro bar di Cogne. Stanchezza… La serata all’hotel Belvedere è caratterizzata dalla presenza di un ghiacciatore di grido, Ezio Marlier che catalizza la nostra attenzione con i racconti più bizzarri… E’ qui che non poteva mancare il tormentone…una disquisizione sulle difficoltà del 7a umido o il 6b asciutto…l’8 incastrato o il 5 appoggiato…per me 8 sono solo gli gnocchi che ho sul piatto e non sono per niente umidi, scivolano giù che è un piacere, tipo imbuto e così tutto il resto della cena. A tavola volano occhiate strane…chi sa capirà…preoccupes no! Ore 23.15 tutti a nanna, due chiacchiere in compagnia, sembra di conoscersi da anni e invece…i miracoli dell’andare in montagna! Prima di addormentarmi ripasso mentalmente il triangolo evoluto, ma di evoluto c’è solo un fantastico letto.

Domenica Sveglia ore 7.15, accettabile. Colazione abbondante, ci aspetta un’altra giornata di ghiaccio, ma questa volta in tutti i sensi. Il termometro della voiture segna -4, neanche freddo se non fosse per un vento gelido che fa presagire una giornata piuttosto dura. Cambiano le cordate e oggi sono con Giò e Daniele, diretti in Valnontey verso Thoule. Avvicinamento ripido e più lungo di ieri ma nulla di preoccupante. All’attacco del primo tiro siamo in una conca dove fa un freddo glaciale, il vento non molla, ma bisogna salire, ci siamo. Due tiri in tutto, il primo sugli 80/85 gradi ma molto lavorato, si fa scalare tranquillamente. Arriviamo in sosta tutti gelati ma l’ambiente ci ripaga della fatica e del freddo…ma dde chee!! Aspetto che Giò e Dani arrivino in sosta sulla seconda lunghezza e poi parto. Davanti a me si erge un muro breve ma davvero verticale, 90 secchi senza storie. Daniele, grande sale incazzato come un lupo, trita il ghiaccio a furia di piccozzate e arriva in sosta. Io salgo, ripasso mentalmente il triangolo ma è davvero dura…comunque arrivo! Sulla seconda sosta, attrezzata su un albero, vedo 2 pezzi di ghiaccio che ciondolano, sono Giò e Daniele. Benissimo, daisy, secchiello e via due doppie veloci e siamo alla base della cascata e le picche? Beh lasa stà va là…soprassediamo.

Ritornando verso la macchina rivedo le immagini di questi due giorni, forse troppo pochi per assaporare veramente un distacco netto dalla realtà quotidiana. Tornati al mitico bar ci si ritrova di nuovo per commentare la giornata e mi rendo conto che purtroppo la nostra gita volge al termine, è già ora di partire. Sui partecipanti… Marco: penso unico davvero, inimitabile…torna con il naso rotto e non fa una piega! Daniele: trita tutto… Paolo: fortissimo Donatella: per lei ”è tutto relativo” basta che sia verticale Matteo (guida): cammina sul ghiaccio Giovanni (guida): Silver…le picche sull’albero…noooo! Nicolò (guida istruttore): scala solo con quelli esperti!! Fabio (guida istruttore): detto anche Salis…un’altra grande Guide de Haute Montagne della Val Chiavenna, il padrone del mitico Crotto ”Refrigerio”, pardon ”Quartino”…una guida davvero professional, trendy, insomma un po’ fashion che sfoggia capi insoliti e alla moda… Un po’ incremato ma grande scalatore, unico neo? Un beauty -case leopardato bianco-nero da sfoggiare solo nelle migliori occasioni, Salis sei mitico! ah, dimenticavo, anche lui scala solo con quelli bravi! Riflessione; una frase detta poco prima del rientro a Milano, forse da Dani, non ricordo bene: ”e ora torniamo nella mediocrità…”

Silver

La montagna più alta del mondo…se fosse alle Hawaii?

La montagna più alta, come tutti sappiamo, è il monte Everest (8848 metri sul livello del mare) in Himalaya. Tuttavia, ci sono diversi modi per misurare l’altezza di una montagna. Un modo alternativo è quello di misurare il punto più lontano della superficie terrestre dal centro della Terra. Anche il Kilimangiaro, la montagna più alta d’Africa che si trova a soli 5895 metri sul livello medio del mare, è più alto di quanto non sia l’Everest se misurato in questo modo. E il detentore del record è Chimborazo (6268 metri sul livello del mare) in Ecuador.

Queste montagne stanno così in alto dal centro della terra perché si trovano quasi all’equatore. La terra è una sfera leggermente appiattita, il che significa che le aree all’equatore sono più lontane dal centro rispetto alle zone polari. Quindi, le montagne equatoriali hanno un vantaggio importante rispetto alle vette a latitudini più alte.

Misurare l’altezza di una montagna dal centro della Terra è comprensibilmente molto teorico e forse anche un approccio inutile. Non si è mai sentito che qualcuno pensi seriamente che Chimborazo è la montagna più alta della Terra. Ma la lista dei possibili modi per misurare l’altezza di una montagna non finisce qui. Un altro modo per farlo è quello di misurare l’altezza dalla base della montagna fino alla sua vetta. Un tale approccio potrebbe essere interessante per i geologi perché in alcuni casi dà davvero molto meglio rappresentazione del reale altezza di una montagna.

Non ha molto senso misurare l’altezza delle isole oceaniche dal livello medio del mare. Il livello del mare non è invariabile, oscilla nel tempo geologico e per i vulcani insulari in realtà non si è così rilevante il livello del mare dato che iniziano a crescere di solito dalla pianura abissale, che è circa 5000 metri sotto il livello del mare. Non diamo molta giustizia alle voluminose isole oceaniche se diciamo che sono solo a circa 100 metri di altezza roccia nel mare.

Le isole oceaniche sono infatti le più alte, o forse dovrei dire le più alte montagne del mondo. La più voluminosa isola oceanica è Hawaii che si compone di diversi vulcani; il più alti sono Mauna Kea e Mauna Loa. Mauna Loa è il più voluminoso, ma Mauna Kea è alto poche decine di metri in più. La vetta del Mauna Kea si trova a 4205 metri sul livello del mare, ma la sua altezza dalla base è più di 10 chilometri!

La vetta del Mauna Kea è un cono di scorie. L’aspetto può essere fuorviante perché la maggior parte dell’ isola è composta di lava basaltica, non di piroclasti. E le sue pendici sono più lievi perché il basalto scorre facilmente e costituisce la montagna con una ampia base. Salire sul vertice è abbastanza facile, perché si deve in realtà salire meno di 100 metri. Mauna Kea ha fra le migliori condizioni per gli osservatori astronomici terrestri. Ci sono molit di telescopi molto vicino alla vetta e, ovviamente, c’è una strada che porta a loro il che significa che si può quasi guidare fino alla vetta.